“Insegno l’arte di volgere l’angoscia in delizia”, “glorificare”; tutto il senso di questo libro. L’asprezza che è in me l’”infelicità”, è solo la condizione. Ma l’angoscia che si trasforma in delizia è ancora l’angoscia: non è la delizia, non la speranza è l’angoscia che fa male e forse decompone. Chi non “muore” per il fatto di non essere che un uomo sarà per sempre solo un uomo.
Tremante. Restare immobile, in piedi, in un’oscurità solitaria, in un atteggiamento senza gesto da supplice; supplica ma senza gesto e soprattutto senza speranza. Perduto e supplice, cieco mezzo morto. Come Giobbe sul letame, ma senza immaginare nulla, a notte calata, disarmato, sapendo che tutto è perduto.
A me idiota, Dio parla bocca a bocca: una voce come di fuoco viene dall’oscurità e parla – fiamma fredda, tristezza bruciante – Alla supplica, quando vacillo, Dio risponde (come? Di chi ridere nella mia stanza?...). Io sono in piedi, su cime diverse, così tristemente scalate, le mie differenti notti di terrore si urtano, si accavallano, si congiungono e queste cime, queste notti… gioia indicibile!... mi fermo. Sono? Un grido - cado riverso.
Accio cerca la sua pulsazione interiore
da BATAILLE: L'ESPERIENZA INTERIORE
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