lunedì 31 maggio 2010

Andrew Marvell: "Alla sua amante ritrosa"

  



Superbo testo questo di Andrew Marvell (1622 - 1678, poeta metafisico inglese) cui hanno attinto oltre tre secoli di poeti e cantori (e ancor lo fanno) intitolato Alla sua amante ritrosa, scelto nella traduzione di Roberto Sanesi, senza dubbio uno dei più autorevoli, attento e sensibile conoscitore di questo genere di lirica. Un testo atto a dare visibilità all’invisibile moto dell’anima che, tramite la parola poetica, cerca e riesce talvolta a trovare voce adeguata per dire, dell’invisibile, quello che, in effetti, dicibile non è: ovvero l’irresistibile desiderio di attingervi.

La poesia metafisica ha segnato in maniera molto significativa ed influenzato fino ai giorni nostri il modo di fare poesia, per la sua ricchezza di giochi metaforici e allusivi, per la raffinata capacità di coniugare insieme amore sacro e amore profano, l’esperienza tangibile e l’esperienza mistica, e soprattutto per il suo desiderio di trovare, proprio per il tramite della poesia, un punto di possibile sutura tra l’angoscia dell’esistenza e l’anelito verso l’eternità: un ideale punto di incontro tra umano e divino, ove attingere e soddisfare la sete di infinito. Una poesia quindi, particolarmente densa, e ricca di immagini, di una tale intensità che spesso riesce a trasformare il pensiero e la sensazione in vero e proprio sentimento, come dirà poi Eliot, alle soglie dei nostri giorni, «Un pensiero capace di modificare la sensibilità e di essere sentito… come il profumo di una rosa». (Ivana Cenci)
 

ALLA SUA AMANTE RITROSA

Avessimo abbastanza Mondo e Tempo,
non sarebbe un delitto, Signora, la vostra ritrosia.[...]
Penseremmo seduti a quale strada prendere,
a come trascorrere il nostro lungo giorno d’Amore.
Voi sulla riva del Gange trovereste rubini: io presso
l’onda del fiume Humber mi lamenterei.
Vi amerei fino a dieci anni prima del diluvio,
e voi, se vi piacesse, potreste rifiutarmi
fino alla conversione degli Ebrei.
Il mio amore vegetale avrebbe il tempo
di crescere più grande di tutti gli imperi
e anche più lento.
Cent’anni se ne andrebbero a lodare
i vostri occhi e a contemplare il vostro volto.
Duecento per adorare uno dei vostri seni
e trentamila almeno per adorare insieme tutto il resto.
Un Evo intero per ciascuna parte, e l’ultimo
alfine mostrerebbe il vostro cuore.
Perché senza alcun dubbio, Signora,
questo cerimoniale voi lo meritate, e io non vorrei
amarvi a minor prezzo.
Ma alle mie spalle odo continuamente
l’alato carro del tempo che si avvicina veloce:
e laggiù da ogni parte, davanti a noi,
si stendono deserti di vasta eternità.
La vostra bellezza non sarà più ritrovata;
e non si potrà più udire nel vostro sepolcro di marmo
echeggiare il mio canto: solo i vermi tenteranno
quella verginità a lungo preservata:
e il vostro strano onore sarà mutato in cenere;
tutta la mia lussuria trasformata in polvere.
Certo la tomba è un luogo intimo e bello
ma dubito che qualcuno vi voglia fare all’amore.
Ora, dunque, mentre il colore della giovinezza
si posa sulla vostra pelle come rugiada del mattino,
ora mentre l’anima consenziente
brucia con fiamme importune,
ora finché possiamo godiamoci il piacere;
subito come uccelli da preda amorosi
divoriamo il nostro tempo,
piuttosto che languire nelle sue lente mascelle.
Tutta la nostra energia, tutta la nostra dolcezza
cerchiamo di addensarla in una sola sfera:
gettiamo i nostri piaceri con rude violenza
oltre i cancelli di ferro della vita.
Così sebbene non si possa obbligare il nostro sole
a fermarsi, possiamo tuttavia obbligarlo a correre.

Andrew Marvell






L'Olandese Volante, in uscita on line a febbraio 2011, sarà diretto da Marco Baldino, Claudio Di Scalzo,



   
 

domenica 30 maggio 2010

Leda & Cigno: A Torre del lago Puccini il mio tuffo . A SARA PANE (3)





Mia Leda carezzarti diventa estenuante
per il bello che si smalizia e poi sospiro
mentre scopro quanto sedurre sia complesso
e l'attesa rimanga incerta, forse ti lascio
per altre acque, momentaneamente?, e tuffi,
sei gelosa della prospettiva architettata
dal beccuto Zeus
che poi sono? Cosa mi rispondi?

Buongiorno Cigno, fuori nei prati
appena spalmati d’aurora qualche zibellino evoca
filosofie naturali con scatti repentini.
Ho intuito il tuo rapporto stretto con la mitologia,
ma attenzione! a volte è un bracciale, con denti di tigre,
da portare con una certa cautela mentre ti penso.
     
Ahimè che spavento! Ne terrò conto a Torre del Lago dove sono diretto.
Non ci sono mai andato. Ma ho nel naso il mare, stasera.
Allora raggiungi il Tirreno! E il Lago di Massaciuccoli, ne godo con te,
se è così saprai tendermi agguati ...a sorpresa, anche da lì. 
Io adoro Torre del Lago...
la quiete che si respira nella sua maestosità, sicuramente consacrata
dalla presenza di Puccini, sembra voler annunciare una durata senza confini
...inviolabile per l'eternità, e quell' infinito percorso in mezzo al verde,
che lambisce il mare, dove pudicamente nuda m’aggiravo
solfeggiando la sua musica!
Ero sfiorata come da un alito,
mi entrava nel sangue e s’insinuava con soave dolcezza
fino a raggiungere la mia intimità, prendendola, senza mai violarla
senza offrirti il vuoto dopo, anzi attenuando la mia indicibile sete d’amore
senza pretesa di saziarla....

Elalà Leda, tu mi prendi per uno spirito ma sono di carne palpitante.
E anche discretamente pagano quanto ad eros, nuda ti ho vista
secoli fa nel fiune Erota e da allora la mia parte è possederti,
lo anticipano i dipinti, (a proposito conosci come ci dipinse
un pittore leonardesco nella tavola custodita agli Uffizi?),
ma se nella modernità il possesso si fa prima con l’anima indicami
se la tua è soffice come un qualsiasi altro pube e se le metafore
non sono una forma moderna d’anticoncezionale per frenare il mio fiotto...
chissà cosa partoriresti così, di certo non due uova con Castore e Polluce
e Clitemnestra e Elena. Bensì, tiro ad indovinare, un poemetto senza capo né coda…



giovedì 27 maggio 2010

Bernart De Ventadorn con “Canzone di primavera” per Olandese Volante



 

                                            Arthur Hughes, Amore a primavera



Trovatore provenzale, nacque tra il 1120 e il 1130, e fu poeta presso diverse corti, tra cui quella di Enrico II di Inghilterra e di Raimondo V a Tolosa. Di origini piuttosto modeste, poche sono le notizie certe su di lui, poiché la sua biografia è largamente romanzata. Frequentò anche la corte dei visconti di Ventadour (o Ventadorn) e quella di Eleonora d'Aquitania (presso la quale sarebbe stato dal 1152 e il 1154). Indirizzò composizioni poetiche a Ermengarda di Narbona e Raimondo V di Tolosa. Nel 1194 si fece monaco cistercense nell'abbazia di Dalon. Il suo Canzoniere comprende una quarantina di canzoni, tutte d'ispirazione amorosa. Petrarca lo cita insieme a Aimeric de Peguilhan, Uc de Saint Circ e Gaucelm Faidit.


Nella “Canzone di primavera” l'amore terreno è visto come valore per sé. L'amore per la donna amata dà gioia, una parola questa che implica nella cultura dell'epoca un insieme di valori positivi, apprezzati senza alcuna riserva (non solo, dunque, appagamento spirituale e fisico, ma anche vitalità, potenza, creatività); l'amore non esclude affatto il corpo e non viene considerato veicolo di perdizione e di colpa, anzi è un sentimento bello e desiderabile; il rapporto amante-amata è impostato secondo la tradizione dell'amor cortese: la donna è gerarchicamente superiore al cavaliere («tanta reverenza e soggezione ho per lei», v. 10), che con l'amore e la sottomissione ricrea le regole di un rapporto di vassallaggio; il corpo, e dunque il lato fisico dell'amore, sembrano assumere una dimensione non in contrasto con la promessa di felicità eterna della religione.


Canzone di primavera

Quando erba nuova e nuova foglia nasce
e sbocciano i fiori sul ramo,
e l’usignolo acuta e limpida
leva la voce e dà principio al canto,
gioia ho di lui, ed ho gioia nei fiori,
e gioia di me, e più gran gioia di madonna:
da ogni parte son circondato e stretto di gioia,
ma quella è gioia che tutte l’altre avanza.

Tanto amo madonna e l’ho cara,
e tanta reverenza e soggezione ho per lei,
che di me non ardii parlare mai
e nulla chiedo da lei, nulla pretendo.
Ma ella conosce il mio male e il mio duolo
e quando le piace mi benefica e onora,
e quando le piace io sopporto la mancanza dei suoi favori,
perché a lei non ne venga biasimo.

Mi meraviglio come posso resistere
che non le manifesti il mio talento:
quand’io veggo madonna e la miro,
i suoi begli occhi le stanno cosi bene!
A stento mi tengo dal correre a lei.
Così farei, se non fosse per timore,
chè mai vidi corpo meglio modellato e colorito
agli uffici d’amore così tardo e lento.

Sola vorrei trovarla
che dormisse o fingesse di dormire,
per involarle un dolce bacio,
poiché non ho tanto ardire da chiederglielo.
Per Dio, donna, poco profittiamo d’amore:
fugge il tempo, e noi ne perdiamo la miglior parte.
Intenderci dovremmo a segni copertamente,
e poiché ardir non ci vale, ci valga scaltrezza.

S’io sapessi gettar l’incantesimo,
i miei amici diventerebber bamboli,
si che niuno saprebbe immaginare
né dire cosa che ci tornasse a danno.
Allora so che potrei rimirare la più gentile
ed i suoi occhi belli e il fresco viso,
e baciarle le labbra per davvero
si che per un mese ve ne parrebbe il segno.

Ahimè, come muoio dal fantasticare!
Spesso vanisco tanto in fantasie,
che briganti potrebbero rapirmi
e non m’accorgerei di che facessero.
Per Dio, Amore, ben facile ti fu soppraffar me
scarso d’amici e senza protettore!
Perché una volta madonna così non distringi
prima ch’io sia distrutto dal desìo.

Bernart De Ventadorn




                                                                          
Marco Baldino: marcobaldino@libero.it

Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it




   

domenica 23 maggio 2010

Proverbi Livornesi: Amore e sesso. A cura del pisano Claudio Di Scalzo che ne riconosce la genialità


                                           Piazzale Mascagni







Claudio Di Scalzo

PROVERBI LIVORNESI A CURA DI UN PISANO
(che ne riconosce la genialità)

Questi proverbi usano un linguaggio crudo, popolare. Impossibile usare sinonimi o censure: sarebbe come togliere parole ai versi del Belli. Proverbi talmente dissacratori, e non solo quelli sull’amore e il sesso, che il poeta toscano Giuseppe Giusti (Monsummano 1809 - Firenze 1850), che raccolse in un volume tutti i proverbi toscani, escluse proprio quelli livornesi. Giusti era inquietato dall'estremismo politico, repubblicano, garibaldino e protosocialista dei livornesi. Sentite cosa scriveva di questo popolo che s'affaccia sul Tirreno: “Avvezzi a vivere come animalacci sbucati di sottoterra, prendevano per dappocaggine o per viltà il fare garbato e la tolleranza fiorentina. La guerra contro il tedesco era una scusa per loro come per quegli che li avevan salariati: la vera guerra era ai beni dello stato”. Di diversa opinione lo scrittore Curzio Malaparte di Prato. “La parlata dei livornesi, larga, cadenzata, sonora, al tempo stesso violenta e dolce, mi pareva nascesse dall'ebbrezza di un sangue troppo vivo e ricco. Le parole uscivan loro di bocca già tutte fatte, rotonde, pienotte, si sentiva che provavan gusto a pronunziarle, a dar loro quell'accento, quella cadenza, quella forza”. Eroma di Vecchiano/Claudio Di Scalzo
   



                                                 AMORE E SESSO
     
Ha visto più schizzi lei che gli scogli di calafuria.

Il caldo del letto fa scorda' il caldo del petto.

Se donna 'un vòle, òmo 'un pòle.

Il culo vòr vede' l'omo in faccia.

'R bacio è 'na telefonata ar cazzo.

Tre cose 'un si sopportano: gioà di nulla, bacio di moglie
e caffellatte diaccio.

'R morvido spacca 'r duro.

La testa di sotto 'omanda a quella di sopra.

La fia ci fa, la fia ci sfa.

Meglio 'n quer corpo lì che 'n fanteria.

L'uccel dell'omo 'un fa ova.

La fia è un pozzo pieno di speranza.

L'amore 'un è bello se 'un c'è lo scorruccello.

Amà e 'un esse' riamato è come pulissi 'r culo senz'avé caato.

E belli mettano 'r pipi all'asta.

Sotto e' lenzoli un c'è miseria.

Piglia moglie e vai alla fonte.

'R miele passa, la luna resta.

A entrà so' zucchini, a uscì so' co'omeri.

Ogni bella scarpa diventa uno scarpone.

La donna è come la riotta, o cruda o cotta è sempre dura da digerì.

Meglio 'he nulla marito vecchio.

Lasciami chiavata.

Cazzo ritto un vor consigli.

'R cazzo 'un vol pensieri.





NOTA


Eroma di Vecchiano

è un personaggio vecchianese. E ciò basti

SU L'OLANDESE VOLANTE APPAIONO

ALCUNE SUE INTEMERATE 

PERFORMANCE NELL'EROS POPOLARE 


  


giovedì 20 maggio 2010

James Joyce: Quattro lettere erotiche alla moglie Nora. A cura di Eroma di Vecchiano/Claudio Di Scalzo




                                          
                                              Nora Barnacle Joyce, 1920 circa


Curo questo Weblog ponendo, spesso, l’eros davanti al sublime crepuscolar misto-tragico. Tanti in Rete sperano che l’amore li possa salvare elevando anima e vissuti. Ma dove specchiano i loro neuroni? Tutto porta al Nulla: schizzo di sperma e pube in bollore come il verso lirico e l’occhio lacrimevole che l'intende scritto per il proprio destino. Per cultura-dispetto verso ogni illusione propongo quattro lettere occultate perché erotiche di James Joyce. Scrittore che stando a suo agio nei bordelli fra le puttane come nelle case per appuntamento con la classicità di Omero è, per me, scrittore e poeta insuperato. Un tipetto che sapeva come l’amore avesse bisogno del diritto e del rovescio per diventare la cosa insopportabile adatta ad essere narrata. Eroma di Vecchiano/Claudio Di scalzo



QUATTRO LETTERE EROTICHE DI JAMES JOYCE  ALLA MOGLIE NORA


7 settembre 1909

… Nora amore mio, voglio che tu rilegga tutto quello che ti ho vergato. Certe cose sono sgraziate, oscene e bestiali, altre pure e sacre e spirituali: ma sono tutte cose mie. Ora penso che tu sappia ciò che provo per te. Non litigheremo più, vero amore? Terrai sempre acceso il mio amore. Stasera sono spossato, mia cara, e vorrei dormire tra le tue braccia, senza farti niente, solo dormire dormire dormire abbracciato a te.
Spero che tu prenda della cioccolata ogni giorno e che il tuo piccolo corpo, o meglio certe parti del tuo corpo, siano più rotonde. Mi viene da ridere, ora, a pensare ai seni meschini che hai. Sei una persona divertente, Nora! Ricordati che hai già ventiquattro anni e che il tuo primogenito ne ha quattro. Accidenti Nora, devi smettere di essere una ragazzina impertinente e diventare la donna piena d’amore che sei.
E tuttavia, che tenerezza mi prende a pensare alle tue gracili spalle, alle tue fattezze da bambina. Che piccola canaglietta sei! E per sembrare ancora ragazzina che ti sei tagliata i peli tra le gambe? Vorrei che tu portassi sottovesti nere. Vorrei che tu imparassi a sedurmi, a provocare il mio desiderio. Ma sento che ci proverai, amore, e così saremo felici…
Mi ami vero? Ora mi terrai sul tuo seno e mi proteggerai e forse avrai pietà di me e dei miei peccati e delle mie pazzie e avrai cura di me come un fanciullo…

                                                                               Jim


3 dicembre 1909

Cara monachina mia... come ben sai, non uso mai un un linguaggio osceno quando parlo. Ma per qualche ragione, tu mi trasformi in una bestia. Sei stata tu, tu piccola svergognata, a cominciare. Non fui io il primo, quel lontano giorno a Ringsend. Fosti tu a mettere una mano nei miei pantaloni: scostasti la camicia e mi toccasti il cazzo con quelle tue lunghe dita leggere, e poi a poco a poco lo prendesti tutto in mano, grande e duro, e mi masturbasti lentamente finché venni tra le tue dita, e intanto eri piegata su di me e mi guardavi con quegli occhi da santa. E furono ancora le tue labbra a sussurrare per prima una parola oscena. La ricordo bene, quella notte a Pola. Stanca di stare sempre sotto, una notte ti togliesti la camicia e mi venisti sopra, nuda. Ti infilasti il cazzo nella fica e cominciasti ad andare su e giù. E ricorda anche che, forse perché quella notte ero assonnolito uccello compreso, ti piegasti sul mio viso e mormorasti teneramente: “Chiavami di brutto, amore, chiavami”.
Nora cara, è tutto il giorno che muoio dalla voglia di girarti alcune domande... Quando quella persona, a cui vorrei cacciare una pallottola nel cuore, ti mise le mani sotto la veste, ti toccò dall’esterno o ti mise un dito dentro? E se lo fece, arrivò fino a toccare il piccolo promontorio che hai dentro la fica? Ti toccò il culo? Rimase a lungo, lì? E tu, venisti? Ti chiese di toccarlo, e lo facesti? Se non lo toccasti, lui venne io stesso e tu lo sentisti tra le dita?
Un’altra domanda, Nora. Io so di essere stato il primo a chiavarti, ma non c'era stato nessun uomo prima, intendo a sditalinarti? Quel ragazzo che ti piaceva? Dimmi la verità, Nora, sii onesta come lo sono stato io. Quando eri sola con lui la sera, nel buio, gli sbottonavi i pantaloni, gli mettevi una mano dentro? Lo facevi venire, cara? Hai mai fatto venire nessun uomo o ragazzo prima di sbottonare me?... Cara, cara, stasera desidero così ardentemente il tuo corpo che se tu fossi qui, anche se tu mi dicessi che mezza con¬tea di Galway ti ha chiavata prima di me, ti salterei addosso.
Dio mio, che razza di cose scrivo alla mia regina... Ti amo, Nora, e anche questo fa parte del mio amore. Perdonami! Perdonami!

                                                                                  Jim


13 dicembre 1909 (frammento)

... Sono il tuo bambino, come ti ho detto, e tu devi essere severa con me, piccola madre. Puniscimi quanto vuoi. Sarei pazzo di gioia a sentirmi la pelle infuocata sotto le tue mani. Capisci, Nora cara? Vorrei che tu mi picchiassi, frustassi perfino. E non per gioco, cara, ma sul serio e sulla carne nuda. Vorrei che tu fossi forte, amore, molto forte, con un seno enorme e due cosce grandi e tornite. Come vorrei che tu mi frustassi, Nora amore! Vorrei averti fatto qualcosa di spiacevole, qualcosa di triviale, magari... E poi sentire che mi chiami nella tua stanza, dove ti trovo seduta a cosce larghe e la faccia arrossata dalla rabbia e un battipanni in mano. Vorrei vederti indicare ciò che ho fatto di male, e quindi afferrarmi con rabbia e mettermi a faccia in giù sulle tue ginocchia. Poi sentire che mi cali i pantaloni e le mutande e mi rialzi la camicia, e io mi dibatterei nelle tue solide braccia, sentirei che ti pieghi (come la governante che sculaccia il bambino) fino a farmi toccare dalle tue puppone, e infine i colpi di frusta che si abbattono furibondi sulle mie natiche nude! Perdonami cara, se ti sembra ridicolo. Ho cominciato questa lettera così tranquillamente, e devo finirla al mio solito modo folle. Spero tanto che anche tu scriva lettere così sconce e pazzesche…


16 dicembre 1909

Ragazza mia dolcissima, finalmente una lettera da te! Devi essertela strapazzata parecchio, la tua matta fichetta, per scrivermi una lettera così senza capo né coda. Quanto a me, amore, sono così spompato che dovresti leccarmelo per un’ora prima di farlo indurire abbastanza da potertelo mettere dentro, e non parliamo poi di chiavarti con frenesia. Me lo sono lavorato così a lungo e così spesso che ho paura di guardarmelo e vedere cos’è diventato. Amore, per piacere, non chiavarmi troppo quando torno. Chiavami quanto vuoi la prima notte, ma poi fammi riprendere. E devi fare tutto tu, amore, perché io ora sono così martoriato e floscio che scommetto non c'è ragazza in tutta Europa, eccetto il mio amore, che si proverebbe a farmi zampillare. Chiavami, amore, in tutte le posizioni che la tua lussuria ti detta. Chiavami tutta vestita con tanto di cappello e veletta, la faccia bruciata dal freddo, dal vento e dalla pioggia e gli stivaletti infangati, a gambe larghe mentre io me ne sto seduto su una sedia e tu mi monti e vai su e giù e mostri le trine delle mutande e io ti tengo il cazzo ben ritto dentro la fica, oppure sulla spalliera del divano. Chiavami tutta nuda eccetto per il cappello e le calze, disteso sul pavimento a gambe larghe, e tu che mi monti come una cavallerizza con le cosce tra le mie e un fiore rosso infilato nel tuo grande culo carnoso. Chiavami in vestaglia (spero che tu abbia ancora quella che mi piace) con niente sotto: apritela quando meno me lo aspetto e mostrami il pube le cosce e il culo e fatti pompare sulla tavola di cucina. Chiavami lasciandotelo mettere nel culo, piegata come una pecorella sul letto, coi capelli sciolti e le mutande rosa profumate aperte svergognatamente dietro e mezze calate sul culo che fa capolino. Chiavami, se puoi, seduta al gabinetto, le vesti rialzate, con grugniti da scrofa che si fa un maiale, e con un qualcosa di sporcamente serpentino che ti scende lentamente dal culo. Chiavami sulle scale al buio, come una serva che sbottona delicatamente i pantaloni del suo soldato e gli infila la mano sul pistolone, trova la camicia, la sente bagnata, la scosta e gli tocca le palle infuocate e alla fine gli tira fuori audacemente l’arma di carne che le piace tanto e comincia a masturbarlo con gentilezza, dicendogli all'orecchio parole sconce e storie oscene sentite dalle amiche e cose sporche che lei sa, e mentre fa tutto questo viene nelle mutande dal piacere e lascia partire tante caldi e silenziosi gorgoglii pubici, finché sente il grilletto indurito come il cazzo di lui e improvvisamente se lo ficca tutto nella fica e chiava.
Basta! Basta perdio!
Sono venuto, la festa è finita. Ora rispondo alle tue domande!

                Jim


Traduzione in proprio, Eromiana



martedì 18 maggio 2010

Cercando il Carbone della Poesia: Pisicchio Brucato e Mary Carbone. Calendario di Maggio. A cura di Claudio Di Scalzo




                                            Mary Carbone - Maggio



CARBONE A MAGGIO

Il mio sentimento
ti indora e adora
e odora inghiottito
da luci dorate
saettando frugale
tra la capanna
e la tua schiena e
il tuo seno o Dea
M'inchino in paonazzi
pensieri sul verde
fluire del costume
che scivola sferzante
nel liquido sogno
a guardarti
e che mi riempie
d'azzurro e burro.

Pisicchio Brucato
per Mary Carbone



  

domenica 16 maggio 2010

Claudio Di Scalzo/Eroma di Vecchiano: Poema del tassello d'amore. Uno (dedicato al Pazzo)



                               



Questo è il poema del tassello sol per me bello. Idealmente dedicato al mio amico Paolo Fatticcioni detto "Il Pazzo". Gli farà piacere darci un'occhiata laggiù dove ora si trova, ne sono sicuro. È a puntate. Andrà bene per questo gingillo weblog on line? Speriamo. Ho fatto, ovviamente, tante volte all’amore. Come tutti. Delle mie amanti non ricordo nemmeno nome e volto. Se non avessi scattato delle foto con l’autoscatto della mia fedele Nikon FM2. Album per ridurre la vita a un fotoromanzo nudo e crudo e sicuramente inutile a parte gli ah oh oh oh di rito.  Allora, scollinata la cinquantina, ho inventato un gioco. Le foto le ho ritagliate a tasselli. È la poetica del tassello. Il mio proustismo d’accatto. La Recherche d'un fissato su Stirner e il mito di Casanova trapiantato in val di Serchio Mettiamola così. Da piccolo rubavo cocomeri. Ci facevo un tassello, li assaggiavo, per sapere se erano succosi e maturi. A notte fonda andavo a rubarli. Sapendo scegliere. E poi ricordarne il succo. Lo stesso faccio con le immagini della mia collezione. A tasselli me le gusto. Sarà amaro sarà dolce il sapore? Il tassello fotografico, poi, cancella il volto mio e quello dell’amata. Così il privato è tutelato. Io posso ancora portare la maschera dell’anonimato e le bellezze - forse non lo sono più!, magari sposate o diventate sante, con le rughe e le mammelle ad elastico - potranno star quiete.
Però mancavano le parole. Ah le parole sono importanti! Ma non le annotai. Così, e anche questo fa parte del gioco, sono andato sul web, al motore di ricerca ho suggerito di cercare la parola “Amore”. E, meraviglia!, quanta gente, uomini e donne, scrivono d’amore! Ne ho acchiappato alcune. E le ho messe come didascalie per il dialogo amoroso nella foto. In fin dei conti, la donna nel tassello e l’uomo che fui, avrebbero potuto dirle.
Anzi magari le dissero proprio. Chissà.  Eroma di Vecchiano

 

POEMA DEL TASSELLO D'AMORE  UNO
(per immagini e parole)

Dice Lei: Spandi l’amore a piene mani. L’amore è l’unico tesoro che si moltiplica per divisione: è l’unico dono che aumenta quanto più si sottrae.

Risponde Lui: Ti amo senza sapere la matematica del bene. Ti amo perché non so amare che così. Intrecciati. Mentre la mia mano sopra ai seni a te apparterrà sempre; e alle tue dita che le mie labbra sfiorano, sempre il mio respiro farà da anello.




sabato 15 maggio 2010

Julia Margaret Cameron: L'addio di Lancillotto e Ginevra. Fotoalbum

  



E' all’immaginario che si rivolge Julia Margaret Cameron, con la sua tecnica flou e la messa in scena “cinematografica” frutto di un’attenta regia che ci propone pochi dettagli messi a fuoco mentre il resto è lasciato all’immaginazione dello spettatore che non avrà difficoltà a vedere in quello sfumato un accenno di movimento, il risultato di un “mosso”. Sorprendente questa “preveggenza cinematografica” se pensiamo che il cinema degli albori consisteva di un’inquadratura fissa in cui gli attori si muovevano con fare teatrale. Nell’uso dei primi piani poi la fotografa, che è del 1874, supera addirittura la prima fase del cinema primitivo che, lo ricordiamo, è nato sedici anni dopo la sua morte. Cds






  

venerdì 14 maggio 2010

Juliette Gréco - Déshabillez-moi. A cura cds

 



Déshabillez-moi, déshabillez-moi
Oui, mais pas tout le suite, pas trop vite
Sachez me convoiter, me désirer, me captiver
Déshabillez-moi, déshabillez-moi
Mais ne soyez pas comme, tous les hommes, trop pressés. (...)

(Juliette Gréco)



Spogliatemi, spogliatemi
Si, ma non subito, non troppo in fretta
Sappiate con bramosia cercarmi, desiderarmi, avvincermi
Spogliatemi, spogliatemi
Ma non siate come tutti gli uomini troppo frettolosi.

(Traduzione cds)



 

mercoledì 12 maggio 2010

Gabriele Basilico: Interpretazione a confronto

     





Gabriele Basilico (1944): "Interpretazione a confronto", 1978, stampa ai sali d'argento. Dopo l'incontro con la fotografia da autodidatta, alla fine degli anni Sessanta, Gabriele Basilico è diventato professionista, operando nei settori della pubblicità e dell'editoria. La sua ricerca sul nudo femminile ha elementi ironici e concettuali. (da TellusMostre di Claudio Di Scalzo)



 

martedì 11 maggio 2010

Cercando il Carbone della Poesia: Pisicchio Brucato e Mary Carbone. A cura di Claudio Di scalzo

 

                        Mary Carbone per Pisicchio Brucato annerita


Mary Carbone, ex concorrente de "La pupa e il secchione", ha le idee molto chiare sul suo futuro e le espone al Tgcom: l’ex compagna di reality del secchione Alessandro Rampinelli vorrebbe sdoganare la sua figura da quella di Pupa (da cui tra l’altro ha tratto l’idea per la linea di intimo che ha disegnato) e diventare inviata e attrice. Prima occasione è partecipare a “Cercando il carbone della poesia” legandosi (ma non sentimentalmente) con la sua splendida figura ai versi del poeta di Colle Salvetti.
  

 IL SOLE E MARY CARBONE

Il sorgere puro del sole,
piastra rovente
nel cielo di tinta sfuggente,
stamani. Con il sole
di Colle Salvetti
splendidamente nuda,
scevra d'orpelli
e umide tracce notturne,
con l'assenza del vento,
distratto in immemori giochi
tra il verde dei colli,
vieni a me tu… tu Mary Carbone

Pisicchio Brucato
 per TELLUS IN LOVE
11 maggio 2010


   

lunedì 10 maggio 2010

La frase più lunga di tutta la Recherche di Marcel Proust

             



Divanetto emerso dal sogno fra le poltrone nuove e ben reali, seggioline rivestite di seta rosa, tappeto da gioco di broccato assurto alla dignità di persona dacché, come una persona, aveva un passato, una memoria, serbando nell’ombra fredda del salotto di quei Conti la tinta del sole preso attraverso le finestre di rue Montalivet (di cui conosceva l’ora non meno della stessa Madame Verdurin) e le porte a vetri di Douville dove l’avevano portato e da dove guardava per tutto il giorno, al di là del giardino fiorito, la profonda vallata della *** in attesa dell’ora in cui Cottard e il violinista si sarebbero accinti alla loro partita; mazzo di violette e di viole del pensiero a pastello, regalo di un grande artista amico, poi defunto, unico frammento sopravvissuto d’una vita scomparsa senza lasciare tracce, riassunto d’un grande talento e d’una lunga amicizia, ricordo del suo sguardo attento e dolce, della sua bella mano grassa e triste mentre dipingeva; ingombro, gradevole disordine dei regali dei fedeli, che ha seguito ovunque la padrona di casa e ha finito col prendere l’impronta e la fissità d’un tratto di carattere, d’una linea del destino; profusione dei mazzi di fiori, delle scatole di cioccolatini, dilatatasi sistematicamente, qui come laggiù, seguendo un’identica linea di fioritura: interpolazione curiosa degli oggetti singolari e superflui che sembrano appena usciti dalla scatola in cui sono stati offerti e continuano per tutta la vita ad essere ciò che erano all’inizio, regali di capodanno; tutti quegli oggetti, insomma, che è impossibile isolare gli uni dagli altri, ma che per Brichot, assiduo frequentatore, da sempre, delle feste dei Verdurin, avevano la patina, la morbidezza delle cose cui s’aggiunge, dotandole di una sorta di profondità, il loro “doppio” spirituale: tutto questo, sparpagliato, risuonava davanti a lui come una serie di tasti che risvegliavano nel suo cuore somiglianze amate, reminiscenze confuse, e – come, in una giornata di bel tempo, una cornice di sole sezionante l’atmosfera – ritagliavano, delimitavano, per entro il salotto attuale che punteggiavano qua e là, i mobili e i tappeti, si rincorrevano da un cuscino a un portafiori, da uno sgabello al respiro d’un profumo, da un tipo d’illuminazione a una predominanza di colori, scolpivano, evocavano, spiritualizzavano, facevano vivere una forma ch’era come la figura ideale, immanente alle loro successive dimore, del salotto dei Verdurin.

Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, La Prigioniera, tr. it. di Giovanni Raboni, pp. 310-312 - a cura di Elisabetta Brizio


  

domenica 9 maggio 2010

Orientali aforismi filosofici scelti da Daniela Cantelli






Raggiungi il vuoto e l'apertura.
Coltiva la calma.
Assorbi l'armonia.
Mentre le diecimila cose sorgono e svaniscono, sorgono e svaniscono,
contempla il loro ritorno alla radice.
Lao Tzu (Tao Te Ching)


Il rigido e l'infelssibile sono amici della morte.
Il tenero ed il flessibile sono amici della vita.
Lao Tzu (Tao Te Ching)


Fluisci con qualunque cosa possa succedere
e lascia che il tuo cuore sia libero;
rimani centrato in te stesso
accettando qualunque cosa tu faccia.
Questa è la saggezza suprema.
Zhuangzi (Tchouang Tseu)


Tutte le cose implicano un tempo per crescere e uno uno per ritirarsi.
Miyamoto Musashi (Il Libro dei Cinque Anelli)


Stai in piedi come un albero,
siedi come una roccia,
muoviti come il vento.
Proverbio Cinese


Lo scopo di una nassa è catturare i pesci, quando i pesci sono presi la nassa viene dimenticata.
Lo scopo di una trappola per conigli è di catturare i conigli. Catturati i conigli la trappola viene dimenticata.
Lo scopo delle parole è trasmettere le idee. Afferrate le idee le parole vengono dimenticate.
Chunag Tzu


L'umano e il microcosmo dell'universo sono la stessa cosa,
l'uno è il tutto,
gli organi sono pianeti,
i centri psichici sono costellazioni,
i punti meridiani sono stelle,
i meridiani sono vie che portano al cielo.
Deng Ming-Dao



   

sabato 8 maggio 2010

Anonimo: Segnalibro praghese per il Web. Antologizzato da Claudio Di Scalzo

 



Segnalibro praghese per la notte che viene - nell’ora che qui si accendono lampade anche se il giorno è di là da finire - e sul Web gli amori in poesia sono muti dalla fine al principio - senza scampo la bellezza sta dietro al vetro - in gocciole rade sorbita... sputata altrove -


Anonimo - ore 20,00 dell'otto maggio 2010



  

giovedì 6 maggio 2010

Accio - Sara Esserino: Vortice mangiatempo con aeroplanino

 
  
 Cds "Vorticanto", acquarello e matita per Sara Esserino




Accio e Sara Esserino

                                           VORTICE MANGIATEMPO

Sono invasa da infiniti eventi e una sorta di vortice mangiatempo spia le albe dei miei giorni e mi sequestra fino al tramonto, a mia insaputa, quasi…



   

Claudio Di Scalzo: Fumettando al nero l'amore menzognero. Trittico. I






Claudio Di Scalzo: "Risposta?". Da "Fumettando al nero l’amore menzognero", Trittico I. 1982 - 2000. Tecnica mista su fotogramma di fumetto. Anche nell’annuario TELLUS 30: “Narrazioni per 4 stagioni”, 2009, pag 262.

In "Risposta?" mi specchio nel protagonista di un fumetto mentre sta scrivendo una lettera. Nel fumetto fotografato l’uomo, con i baffi come me e con i capelli come i miei e con una Remington come quella che avevo sulla scrivania, sa il nome della donna a cui sta scrivendo, infatti pensa “Lì c’è la risposta”, e forse si riferisce a un episodio che hanno vissuto, una casa che hanno abitato, un libro che si sono scambiati; anch’io allora, proprio nel 1982, dissi a me stesso “lì c’è la risposta”, tanto che nella reale lettera che spedii alla donna lontana che raggiungevo in quel modo sdoppiato tra reale e fumetto fotografato, facevo riferimento a qualcosa di concreto a parole decifrabili, oggi però non ricordo né il nome della donna, né il suo volto, né perché mi affidai a questo trucco fotografico. Non ho nemmeno conservato la lettera. Fui previdente a titolare l'operetta "Risposta?". A firmare con l'interrogativo quel buio.

Crudele e ridicolo è l’amore. Ci lascia sempre dei residui, che per uno scrittore possono diventare scrittura, per il poeta poesia, per il pittore disegno, ma sempre polvere, cascami, a me la ventura di scriverne. Ma sempre polvere, cenere. La mia somiglia alla cipria, è estetica, ma il risultato non cambia.


Claudio Di Scalzo 

domenica 2 maggio 2010

Contesto dannunziano 2 - Fotoalbum a cura di Claudio Di Scalzo







Io pensava in un pomeriggio recente - tornando dai Giardini per quella tiepida riva degli Schiavoni che all’anima dei poeti vaganti poté sembrar talvolta non so qual magico ponte d’oro prolungato su un mare di luce e di silenzio verso un sogno di Bellezza infinito - io pensava, anzi assisteva nel mio pensiero come a un intimo spettacolo, alla nuziale alleanza dell’Autunno e di Venezia sotto i cieli.

Era per ovunque diffuso uno spirito di vita, fatto d’aspettazione appassionata e di contenuto ardore; che mi stupiva per la sua veemenza ma che pur non mi sembrava nuovo poiché io l’aveva già trovato raccolto in qualche zona d’ombra, sotto l’immobilità quasi mortale dell’Estate, e l’aveva anche sentito fra lo strano odor fetido dell’acqua vibrar quivi a quando a quando come un polso misterioso. “Così veramente”, io pensava “questa pura Città d’arte aspira a una suprema condizione di bellezza, che è per lei un annuale ritorno come per la selva il dar fiori. Ella tende a rivelar di sé medesima in una piena armonia quasi che sempre ella porti in sé possente e consapevole quella volontà di perfezione da cui nacque e si formò nei secoli come un creatura divina. Sotto l’immobile fuoco dei cieli estivi, ella pareva senza palpito e senza respiro, morta nelle sue verdi acque; ma non m’ingannò il mio sentimento quando io la indovinai travagliata in segreto da uno spirito di vita bastevole a rinnovare il più alto degli antichi prodigi.”

Questo io pensava, assistendo allo spettacolo incomparabile che per un dono di amore e di poesia io poteva contemplare con occhi attentissimi la cui vista mi si mutava in visione profonda e continua … Ma con qual virtù potrò io mai comunicare a chi m’ascolta questa mia visione di bellezza e di gioia? Non v’è aurora e non v’è tramonto che valgano una simile ora di luce su le pietre e su le acque. Né subito apparire di donna amata in foresta di primavera è inebriante così come quella impreveduta rivelazione diurna della Città eroica e voluttuosa che portò e soffocò nelle sue braccia di marmo il più ricco sogno dell’anima latina.

(Gabriele D’Annunzio, da “Allegoria dell’Autunno”. A cura CDS)




 

sabato 1 maggio 2010

Contesto dannunziano 1 - Fotoalbum a cura di Claudio Di Scalzo

 


Subitamente, l’immagine di Elena gli risorse nella memoria. Altre immagini di donne si sovrapposero a quella, si confusero con quella, la dispersero, si dispersero. Egli non riuscì a fermarne alcuna. Tutte parevano sorridere, d’un sorriso nemico, nel dileguarsi; e tutte, nel dileguarsi, parevano portar seco qualche cosa di lui. Che cosa? Egli non sapeva. Un avvilimento indicibile l’oppresse; lo gelò quasi un senso di vecchiezza; gli occhi gli si empirono di lacrime. Una tragica ammonizione gli sonò nel cuore: “Troppo tardi!”.

(Gabriele D’Annunzio, da “Il Piacere”. A cura CDS)



   

Ninfe in Cashmere rosso puro per rendere alla moda un fauno impuro. A cura di Claudio Di Scalzo

 


Quelle ninfe, le voglio perpetuare.
Così chiare le loro carni lievi
che nell'aria volteggiano assopita
di folli sonni.
Forse amai un sogno?
Dirama il dubbio, cumulo d'antica
Notte, in fronde sottili che, rimaste
Il bosco vero, provano ch'io solo,
io solo, ahimé! m'offrivo per trionfo
la caduta ideale delle rose.
Pensiamo...





(da "Il pomeriggio di un fauno", di S. Mallarmé. Traduzione ripresa dal Web. Testo scelto a cura di CDS)




  

Claudio Di Scalzo: Quando Jeff Bark scattò “Abandon”. Tellusmostre




                                          Jeff Bark: "Abandon"
  


Quando Jeff Bark scattò “Abandon”.

Le fotografie di Jeff Bark hanno la vocazione all'allegoria. Dettagli (numerosi) e colori propongono un'estetica fotografica con tinte a forte contrasto, e s'avverte la tentazione di accostarla a dipinti realisti, a quadri decadenti, o a fotogrammi da film. Interessante la sequenza a "racconto" di molte foto. Come nel caso di "Abandon". Queste scelte impongono lunghe sedute e la cifra maniacale dell'illuminazione. Lo studio diventa un tempio. Dell'idea del fotografo. I soggetti allontanandosi dal reale, o estraniandosi da esso, lo fanno con sensualità. E questo serve anche per il mercato e il successo delle fotografie su riviste e in galleria.
Ovviamente viene "predato" l'mmaginario decadente e le sue simbologie. Il tutto riversato in contesti urbani degradati.  (Claudio Di Scalzo)