Arthur Hughes, Amore a primavera
Trovatore provenzale, nacque tra il 1120 e il 1130, e fu poeta presso diverse corti, tra cui quella di Enrico II di Inghilterra e di Raimondo V a Tolosa. Di origini piuttosto modeste, poche sono le notizie certe su di lui, poiché la sua biografia è largamente romanzata. Frequentò anche la corte dei visconti di Ventadour (o Ventadorn) e quella di Eleonora d'Aquitania (presso la quale sarebbe stato dal 1152 e il 1154). Indirizzò composizioni poetiche a Ermengarda di Narbona e Raimondo V di Tolosa. Nel 1194 si fece monaco cistercense nell'abbazia di Dalon. Il suo Canzoniere comprende una quarantina di canzoni, tutte d'ispirazione amorosa. Petrarca lo cita insieme a Aimeric de Peguilhan, Uc de Saint Circ e Gaucelm Faidit.
Nella “Canzone di primavera” l'amore terreno è visto come valore per sé. L'amore per la donna amata dà gioia, una parola questa che implica nella cultura dell'epoca un insieme di valori positivi, apprezzati senza alcuna riserva (non solo, dunque, appagamento spirituale e fisico, ma anche vitalità, potenza, creatività); l'amore non esclude affatto il corpo e non viene considerato veicolo di perdizione e di colpa, anzi è un sentimento bello e desiderabile; il rapporto amante-amata è impostato secondo la tradizione dell'amor cortese: la donna è gerarchicamente superiore al cavaliere («tanta reverenza e soggezione ho per lei», v. 10), che con l'amore e la sottomissione ricrea le regole di un rapporto di vassallaggio; il corpo, e dunque il lato fisico dell'amore, sembrano assumere una dimensione non in contrasto con la promessa di felicità eterna della religione.
Canzone di primavera
Quando erba nuova e nuova foglia nasce
e sbocciano i fiori sul ramo,
e l’usignolo acuta e limpida
leva la voce e dà principio al canto,
gioia ho di lui, ed ho gioia nei fiori,
e gioia di me, e più gran gioia di madonna:
da ogni parte son circondato e stretto di gioia,
ma quella è gioia che tutte l’altre avanza.
Tanto amo madonna e l’ho cara,
e tanta reverenza e soggezione ho per lei,
che di me non ardii parlare mai
e nulla chiedo da lei, nulla pretendo.
Ma ella conosce il mio male e il mio duolo
e quando le piace mi benefica e onora,
e quando le piace io sopporto la mancanza dei suoi favori,
perché a lei non ne venga biasimo.
Mi meraviglio come posso resistere
che non le manifesti il mio talento:
quand’io veggo madonna e la miro,
i suoi begli occhi le stanno cosi bene!
A stento mi tengo dal correre a lei.
Così farei, se non fosse per timore,
chè mai vidi corpo meglio modellato e colorito
agli uffici d’amore così tardo e lento.
Sola vorrei trovarla
che dormisse o fingesse di dormire,
per involarle un dolce bacio,
poiché non ho tanto ardire da chiederglielo.
Per Dio, donna, poco profittiamo d’amore:
fugge il tempo, e noi ne perdiamo la miglior parte.
Intenderci dovremmo a segni copertamente,
e poiché ardir non ci vale, ci valga scaltrezza.
S’io sapessi gettar l’incantesimo,
i miei amici diventerebber bamboli,
si che niuno saprebbe immaginare
né dire cosa che ci tornasse a danno.
Allora so che potrei rimirare la più gentile
ed i suoi occhi belli e il fresco viso,
e baciarle le labbra per davvero
si che per un mese ve ne parrebbe il segno.
Ahimè, come muoio dal fantasticare!
Spesso vanisco tanto in fantasie,
che briganti potrebbero rapirmi
e non m’accorgerei di che facessero.
Per Dio, Amore, ben facile ti fu soppraffar me
scarso d’amici e senza protettore!
Perché una volta madonna così non distringi
prima ch’io sia distrutto dal desìo.
Bernart De Ventadorn
Marco Baldino: marcobaldino@libero.it
Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it
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