CERCANDO L'ORO DELLA POESIA ALL'INDIETRO:
HERMANN HESSE A PISA E LIVORNO
Il tedesco Hermann Hesse, prima di scrivere Siddharta e altri romanzi che del viaggio sono debitori per tutto quello che incide nell’io dei protagonisti – a volte come cesello di ansie e più spesso depositando parole enfatiche in vocazioni tendenti all’universale – e sulle loro suole, venne a Pisa nel 1901 e si fiondò verso il Campo dei Miracoli e più miratamente in Camposanto Vecchio. A cercare il Trionfo della morte. Il luogo, nel suo immaginario, l’aveva avuto in prestito, sembra, dal dipinto di Leo von Klenze di Monaco, che col suo Camposanto Vecchio del 1858 offriva lo spazio per meditare sulle varianti della fine per ogni uomo, ma standosene seduto o accovacciato sotto arcate affrescate e statue sognanti l’al di là. Che Hesse a Pisa fosse un perfetto enfatico, o meglio enfatista nato, lo testimoniano anche le poesie scritte sul porto di Livorno dove approdò.
Margherita Stein che ne ha tradotta una, appunto Porto di Livorno, è convinta che i traduttori poi abbiano aggiunto allo zucchero lo sciroppo con forzate rime e mazzi di aggettivi. E non è che con gli anni Hesse sarebbe migliorato: avrebbe soltanto aggiunto acquarelli, Monti Verità, e altre alture sul genere del sublime, compresa quella modellata dalla pietra ollare di Chiavenna e le giungle con relativi templi dell’India. La Svizzera con i suoi misteri dove l’ora esatta nell’estetica, mi sia consentita la battuta, non compare mai, lo accoglie a Montagnola: qui scrisse di Klingsor e di altri meandri esoterici. Hermann Hesse muore il 9 agosto a Montagnola per emorragia cerebrale. E viene seppellito nel cimitero di S. Abbondio. Qualcuno potrebbe recarsi qui e disegnare Il trionfo di una vita dinamica sulla morte. Era nato ottantacinque anni prima a Calw sul fiume Nagold, nel Württemberg.
(Claudio Di Scalzo – Annuario TELLUS 27 “Dalla Torre Pendente alle Alpi. Viaggi e altri viaggi” - 2006 Volume esaurito che verrà ripubblicato come E-Book sull’Olandese Volante)
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PORTO DI LIVORNO
Una scena m’impressionò anni addietro
e non cessa d’offrirmi una mite nostalgia.
È spesso in me, tra le lacrime, vicina e distante
come canto di fanciullo viaggiatore,
obliata e poi sognata melodia.
Il sole stava tramontando col suo ardore affaticato
e sfumava il profilo in lontananza delle isole
tra profumo e cielo. Contro le sponde
della mia barca fremevano gravi e ritmate
le onde del mare.
Fiammeggiante nel suo triangolo la vela cadmio
presso il molo stava. Uno spesso chiarore scivolava
con repentina bellezza sul mare dorato
portando con sé gli ultimi raggi cinabro
nel crepuscolare regno violetto.
(Traduzione di Margherita Stein)
Dal giornale on line TELLUSfolio
(2005-2009) di Claudio Di Scalzo
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