domenica 6 giugno 2010

Claudio Di Scalzo: Innocenti reticenti peccatori di provincia




               INNOCENTI RETICENTI PECCATORI DI PROVINCIA

Sono un accademico, nelle prime ore della notte mi sono sentito male e seppure con molto disagio sono riuscito a raggiungere il reparto di urgenza della città dove lavoro. Ho trascritto i miei sintomi in un pezzo di carta, per accelerare la mia diagnosi. Ormai conosco in anticipo cosa mi chiederanno, non sono molto originali i medici, di solito. Rileggo la mia anamnesi, benissimo, sembrerebbe perfettamente coerente.
Pressione: prendo due medicine e tavor ma ho cento e più.
Mal di testa: coincidente mi impedisce tutto da giorni, sto male.
Dolore al cuore: da tre-quattro giorni costante, mi fa male e paura.
Abbassamento vista: appena mi muovo o faccio un piano di scale.
Spossatezza: giramenti di testa
Nausea: conati di vomito.
Consegno il biglietto al medico, il quale tuttavia pare non dargli troppa importanza, anzi praticamente nessuna, perché mi prende ugualmente la pressione, mi fa un’endovena e senza chiedermi alcunché compone il numero dello psichiatra.

La novizia - Attendo in una stanza con due posti. Nel letto attiguo al mio, poco dopo, adagiano con circospezione una suora. Le mettono dentro un apparecchio per la magnetoterapia per controllarle non so cosa. Sembrerebbe una persona normale, a parte il fatto di essere una suora, il che di per sé costituisce una anomalia. Ma questa mia impressione non dura molto. Infatti dopo un po’ chiama affannosamente, quasi disperatamente, l’infermiera, dicendole: “Ma io non posso assolutamente sostare in questo posto, non vede cosa c’è scritto qui?” L’infermiera sembra non comprendere, ma si china e controlla l’iscrizione indicatale dalla suora. C’era scritto, sì, ricordo bene: “Vietato ai portatori di pace-maker”. “E allora?”, le risponde l’infermiera. E la suora, con voce molto risentita: “Ma dalle mie vesti non si evince che io sia una portatrice di pace?” Ripasso mentalmente il mio inglese e traduco la parola: “segnapassi”, mi sovviene. Sulle prime non riesco a comprendere il nesso tra i passi e la pace.
La portano via, il letto è provvisto di rotelle e si sposta con facilità. Attendo lo psichiatra, mi dicono che al momento è impegnato con un altro paziente, ma che presto arriverà, e finalmente avremo un colloquio.

Umoristici trastulli - E’ il turno di un signore anziano, piccolo di statura; il medico lo segue e comincia a fargli delle domande, anzi, gliene fa una sola: “Cos’ha di preciso?” E il vecchietto: “Oggi non sono riuscito a digerire bene, un osso del pollo che ho mangiato è arrivato fino al retto, ma proprio non vuole andare oltre”. Il medico non pare infierire con ulteriori domande, magari indiscrete, dice solo, tra sé: “Trahit sua quemque voluptas” ognuno ha le proprie inclinazioni, e meccanicamente fa il numero del chirurgo reperibile, che presumibilmente ora starà dormendo nella propria abitazione. Gli operatori sanitari conducono il vecchietto nel piano superiore, destinazione blocco operatorio due.

L’onanista mancino - Attendo. Sono tutti in allarme, entra un tizio che lamenta un dolore al braccio sinistro, un quarantenne, apprendo. Tempestivamente gli fanno un elettrocardiogramma, poi lo sottopongono a diversi prelievi, ad altri esami specifici, chiamano anche il cardiologo di turno, vista l’anomalia del caso. E lo lasciano in sosta, per una diagnosi devono attendere l’esito degli esami del sangue.

Atrofia cerebrale - Mettono una parete divisoria, portano una signora piuttosto anziana, afasica, porge un biglietto ai sanitari, afferro solo il loro tentativo di decodifica: “Ò il nervo sciatico 3 mesi di dolore poi anche la bronchite ò cataro tosse fibrillazioni scosse tante antipiotici inalazioni terapie tenzione piedi gonfi gambe gonfie ore 15 di notte tremore e freddo una ora tanti panni vitamine ferite bocca tremarella cuore anzia”. La faccia del medico pare sconcertata, la portano via, forse in geriatria.

L’onanista, ancora - Intanto è passato del tempo, rifanno il prelievo al mio vicino cardiopatico. Cerca informazioni dal medico: “Come sono andati i precedenti esami?” “Tutto negativo - risponde il medico - tuttavia dovremo ripeterli almeno fino a domattina, ma non si preoccupi, questa è la prassi”. Il mio vicino chiama il medico in disparte, e gli confida: “Secondo lei, dottore, un dolore al braccio sinistro, talvolta, non potrebbe essere originato da eccessive e prolungate consuetudini autoerotiche?” “In che senso?”, gli chiede perplesso il medico. Il cardiopatico si avvicina di più al medico e gli confida qualcosa all’orecchio. Il medico, se prima era solo allibito ora è proprio imbestialito. E gli fa: “Lei, a quarant’anni, si trastulla ancora con certe pratiche? E soprattutto, viene anche a rompere le scatole, e per giunta di notte, a chi invece lavora?” E senza tanti complimenti lo manda a quel paese, e fuori dalla stanza. Che maleducato, penso tra me.
Lo psichiatra non arriva, ma comincio a rilassarmi ugualmente. E pure a divertirmi, in verità.

L’igienista distratto - Arriva un ragazzo, lo mettono al posto del falso cardiopatico. Ha degli strani parassiti nella zona delle pudenda. Il medico gli dice: “Le consiglio di andare dal dermatologo, ma domani, a quest’ora non lo trova in ospedale”. Compare una ragazza, che non avevo visto prima, e chiede al medico: “Dovrei andarci anch’io?” “E perché mai?”, le risponde il medico. “Perché ho gli stessi parassiti, tra le sopracciglia”. Non ricordo il consiglio del medico, sono un po’ assonnato, confuso. Se ne vanno, e per un po’ sto solo. Ma la calma dura poco.

Il tatuato - Un individuo piuttosto palestrato, una specie di big gym, non so che cosa stia accusando, ma sento che lo invitano a spogliarsi. Sta dietro quella specie di tenda-divisorio, sembra che da qualche parte abbia un enorme tatuaggio a forma di ali. La voce si sparge nel reparto e alcune infermiere curiose si affacciano per sbirciare, paiono molto meravigliate, devo ammettere. Infatti le sento sussurrare: “Pensa che effetto, in altra situazione!”
Pare che dopo averlo cavalcato per diverse ore una donna gli abbia messo fuori uso una parte importante del corpo. Distinguo una voce maschile dire: “Ci fornirebbe cortesemente il numero di telefono della sua signora che, presumibilmente, datur omnibus?” Intanto un medico sta bevendo un aperitivo alcolico: un altro medico gli chiede: “Dove lo hai preso?” E lui risponde: “Quell’alcolizzato di prima ne aveva parecchi, li ho messi nel frigo. Abusus non tollit usum”.

Lo psichiatra - Sta arrivando lo psichiatra, ma quasi non ne sento più il bisogno. Tra l’altro ha una faccia davvero poco rassicurante. Il medico gli dice: “Era ora. Ma dimmi, poi come è andata con l’altro paziente?” Risponde lo psichiatra: “Se uno ha deciso di togliersi la vita, avrà le sue sacrosante motivazioni. Dopo un lungo colloquio sono riuscito a convincerlo di farlo: perché impedirglielo?”
Dico allo psichiatra che ora mi sento benissimo, che la crisi ansiosa è passata, e lui mi saluta e se ne va. Decido di rimanere ancora per un’oretta, tanto per esser più tranquillo, poi me ne andrò anch’io.

L’interista - Arriva un omaccione, indossa una maglia dai colori nerazzurri con su scritto un nome, non ricordo bene, tanto l’uno vale l’altro, accusa un forte dolore addominale. I medici accorrono neanche fosse un cardiopatico, o un infartuato, gli rivolgono diverse domande puntuali, lo visitano accuratamente. Lui farfuglia dicendo che sono giorni che non va in bagno, e che per ovviare a questo fastidiosissimo inconveniente ha abusato di un lassativo che avrebbe causato quei dolori, e che ora deve assolutamente andarci, in bagno, e se non lo accompagneranno denuncerà tutti. Uno dei medici se ne va sacramentando, l’altro gli dice, alquanto contrariato: “Ebbene, lei sarebbe venuto ad evacuare proprio qui, e a quest’ora”?

L’isterica - Entra infuriata una donna dall’aspetto ridicolo, variopinta e grassa, si rivolge a uno dei medici, intimandogli: “Siete dei porci, degli autentici maniaci sessuali, state guardando filmati porno anziché lavorare come dovreste, ora andrò alla Direzione e farò presente la cosa, poi vedrete le conseguenze”. In effetti sullo schermo del computer ogni tanto, ci avevo fatto caso anch’io, apparivano immagini non troppo consone a un luogo di cura. Ma apparivano episodicamente, senza che nessuno dei sanitari vi si soffermasse. Il medico, senza scomporsi, le risponde: “Vada pure in Direzione signora, anzi, la esorto a farlo. Chissà se dopo le sue rimostranze ci toglieranno di mezzo questo mostro sempre in connessione, nostro malgrado”. La signora alza il tono delle sue accuse, e il medico le ripete, con serafica calma: “Vada, vada in Direzione, apriranno domani mattina, alle otto. Sono puntuali, di solito.”

L’aspirante arciere - Nella stanza di fianco alla mia, la porta era aperta, si sente una voce maschile, sui trent’anni. Dice al medico di essersi ferito in prossimità della zona anale. Il medico gli domanda come possa essere accaduta una cosa del genere, avvertendolo comunque che “Causa patrocinio non bona, peior erit”. Il malcapitato racconta che mentre stava pattinando era caduto a sedere sopra un fondo di bottiglia. Accidenti che mira, penso io. “Aliquid novi…”, dice il medico, memore di un analogo caso, raccontava sottovoce all’allievo infermiere, in cui un uomo, scivolando nella vasca da bagno, aveva centrato in pieno il tappo del bagnoschiuma Vidal. Poi prende ago e filo, chiude la porta e pazientemente si mette a riparare il danno.

Lifting - Ecco finalmente una bella donna, penso io. Quasi quasi, di un male ne viene un bene, questa notte. Accidenti però, ha una specie di tic, strizza di continuo un occhio e l’estremità sinistra della bocca. Lei dice che è stranissimo, che non ha fatto niente di che. Fosse per caso un ictus? Il medico parla sottovoce con l’infermiere: “Ha fatto il botulino, si vede a un kilometro, ma facciamoglielo dire dal neurologo”. E le firmano una carta per una visita neurologica per il giorno successivo. Che peccato.

L’ipocondriaca - E’ il turno di una, infuriata. Dice, come fosse di casa: “Ormai lo dovreste sapere che ogni volta che faccio la doccia degli estranei corpi metallici si introducono nei miei orifizi. E se mi avete fatto la tac l’altro giorno, cosa significa? Come ben sapete, nel frattempo potrebbero essere insorte altre malattie.” Il medico con calma noncuranza cerca di farle capire che non è cosa opportuna ripetere esami inutili e oltretutto nocivi, che le radiazioni di una tac corrispondono non ricordo a quante radiografie. Ma quella insiste, ha una voce stridula, insopportabile. Il medico, rassegnato, o forse del tutto incurante degli effetti dell’abuso di certi esami, se condotti sugli altri, chiede a un infermiere: “Rifalle fare la tac all’addome, immantinente, poi falla sparire”. Tornano dalla tac, la donna e l’infermiere. “Tutto bene signora, come supponevo non ha nulla di nulla, vada pure a dormire tranquilla, prenda le sue solite pillole e dorma serena, e buonanotte a lei”, la rassicura il medico. La signora se ne va. Ma ritorna dopo qualche minuto. “Che altro c’è?”, le chiede il medico, visibilmente alterato. “Uscendo dal reparto ho battuto il capo su quella pesantissima e maledettissima porta. Necessito dunque urgentemente di una tac alla testa”. Vedo il medico cambiare di colore e dirigersi verso il corridoio, lo sento sbraitare con gli infermieri che l’hanno fatta rientrare. Gli stessi che ora invitano l’ipocondriaca signora ad andarsene altrove, ma dove non ho avuto modo di capire.

Il sofisticato - Entra uno con una ragazza, molto bella, devo dire. L’uomo dice di avere la bocca amara e la lingua felpata, come un saporaccio gli si sarebbe impastato alla saliva e gli causava conati di vomito. “Cosa ha mangiato?”, gli chiede il medico. L’uomo risponde che nel corso della serata in effetti non aveva mangiato nulla, aveva solo fatto una scorpacciata della ragazza, specificandogli all’orecchio qualcosa. La domanda, molto presumibilmente, esprimeva la preoccupazione di come avrebbe potuto ovviare a questo inconveniente alla prossima richiesta da parte della ragazza. Tant’è vero che la risposta del medico, nell’accompagnarlo alla porta, è stata: “Basterebbe ricordare alla sua ragazza di farsi un bel bidé, tiepido e soprattutto profumato, prima della scorpacciata. Sa, talora, ubi mel, ibi fel”, dove c’è il miele c’è il fiele.

Il poeta - “La mia anima originale, anzi direi, e con cognizione di causa, considerando i libri che ho sempre venduto, originalissima, è attratta dal vuoto dell’assoluto, dall’infinibile vertigine, la mia parola è un varco verso l’oltretempo, su questa terra o altrove, non importa dove, come diceva un cantore. E contravvengo a ciò che sosteneva un altro poeta, nella critica tuttavia, cioè ‘noi che riceviamo la qualità dai tempi’, ma quale qualità? Il poeta vive di parole, di anditi di illuminazioni stordimenti ed emozioni: siete voi ancora capaci di emozionarvi come me? I miei versi additano la verità, moltiplicano ad libitum le mie squisite sensazioni a voi ignote, voi della bellezza di un cielo o di un corso d’acqua ignari. Metto in versi liberi l’altrui dolenza, la plasmo e la dilato forzandola con la mia ontologica interpunzione, sono estasiato dalla pregnanza delle mie ipallagi, delle mie iperboli, delle mie antitesi, delle mie litoti, soprattutto. La retorica mi provoca un narcissico piacere, ma estetico soltanto, inizialmente. Mi porta lontano dal tempo e dallo spazio, altro che ‘qualità dei tempi’, in un regno remoto eterno verso naufragi nell’abisso del senso. Con essa mi denudo, mi offro al sacrificio. E lo faccio anche per voi. Poi l’artificio, ops, volevo dire l’appetito, vien mangiando, come dite voi, banali e volgari cultori del nulla materiale. Cosa ne sapete voi della mia sostanza spirituale, voi anime ignave e più adatte all’arte del concime, io che indugio nella sfera del sublime, dovrei forse accettare consigli da voi? Liberantur, miserere, miserere per la vostra anima vedova di siffatte paradisiache chimere.” Nessuno sembrerebbe aver recepito questa profonda lezione di autenticità, e d’altronde gli esorcisti non sono pagati dal Servizio sanitario nazionale. Il medico nell’accompagnarlo alla porta gli dice: “Ha ragione, il verbo è tutto, diceva il poeta, ma lo vada a raccontare in Direzione, magari domattina”.
Demenziale, sono sconcertato, ma quasi rasserenato: constato con meraviglia che non sono l’unico ad avere dei problemi. Prima di andarmene sento gli operatori sanitari sghignazzare tra loro: pare che una donna nella stanza attigua abbia messo il pappagallo, anziché a suo marito, al vicino di letto. Forse le luci erano troppo basse, si tende a risparmiare proprio su tutto, oggigiorno. Non vedo cosa ci sia tanto da ridere, aveva ragione il poeta: allora la sensibilità è davvero cosa rara e preziosa.
Mi congedo dal medico: “Ora sto bene, vado a dormire anch’io”. Gli domando: “Ma qui di notte è sempre così, come di giorno”? “Questa è solo ordinaria follia - mi risponde -, tutto il resto, o è molto più tragico, o davvero troppo disdicevole per essere raccontato.” Cerco di darmi un certo tono, e dico: “Aliena vitia in oculis habemus, a tergo nostra sunt”. “Vada cortesemente a quel paese, a quello stesso paese del quale stanotte ha avuto modo di apprendere le infinite possibilità”, mi sento rispondere.

                                                                       


     



    

 




  

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